«Il libro più bello che sia mai stato scritto sulla natura
e il paesaggio» - The Guardian
La montagna vivente è uno dei più bei testi sull’andare
nella montagna, e più complessivamente sullo stare in natura, che
io abbia mai incontrato. Mi ha riempita di meraviglia e del desiderio
di far risuonare quelle parole in uno spazio condiviso.
Ho cercato di trovare un mio percorso attraverso questo libro ammaliante,
un sentiero praticabile verso quei luoghi lontani, ma soprattutto ho cercato
una via di accesso al paesaggio della mente di questa donna, una mente
così profondamente situata, incarnata nella meravigliosa materia
del mondo. Come forse solo la mente/corpo di una donna può fare?
In questo percorso nel testo ho trovato assonanze, tracce di sentieri
che ho vagamente riconosciuto, che a mio modo e in altri luoghi mi sembra
di avere intravisto e imboccato … ma, più spesso, mi si sono
parate davanti impreviste meraviglie e punti di arrivo ineguagliati.
Ho voluto sperimentare qualcosa di simile anche nel portare il testo nella
voce e nello spazio , immaginando un variare da vicino a lontano, da fuori
a dentro, un gioco di prospettive fra il testo letto e il testo “interpretato”.
Sul filo, sul tappeto della musica di Marco Remondini che mai descrive
e sempre apre il respiro.
Immagini e foto, quello mai. Che nulla ostacoli il dispiegarsi del nostro
paesaggio mentale, quello che le parole di Nan Sheperd creeranno in noi
, tutti noi insieme, chi parla e chi ascolta … verso l’opera
comune che, per un istante, possiamo far avvenire. Un paesaggio vivente?
Lorenza Zambon
Questo libro ha una storia lunga e interessante: Nan Shepherd (1893-1981)
era scozzese di Aberdeen, e alla sua regione dedicò la vita, fu
poetessa e scrittrice, fu insegnante di letteratura, camminò per
quaranta anni gli altopiani e le montagne del Cairngorm, ora un grande
parco nazionale, a ovest di Aberdeen. “La montagna vivente”
fu scritto negli anni della Seconda Guerra Mondiale,
nel 1945 la Shepherd lo fece leggere al romanziere Neil Gunn, che lo lodò
e ne fu colpito, ma le scrisse che forse sarebbe stato difficile trovare
un editore. A quel punto la Shepherd lo mise in un cassetto e lì
rimase per più di 30 anni, quando ormai anziana, lo tirò
fuori e lo fece pubblicare, in sordina, nel 1977. Ma pian piano in Gran
Bretagna è diventato un libro di culto, al punto che il grande
scrittore, da noi molto amato, Robert Macfarlane (Le antiche vie, Luoghi
selvaggi), autore qui di una lunga introduzione, lo considera
uno dei libri di viaggi e di cammino più importanti mai pubblicati.
La stessa Nan Shepherd è tornata in auge, e da poco il suo ritratto
campeggia sulla nuova banconota da 5 sterline scozzesi. Ottimo quindi
che finalmente Ponte
alle Grazie l’abbia pubblicato in italiano, perché questo
è un libro speciale, scritto benissimo.
Nella bella introduzione Robert Macfarlane fa notare come quasi tutta
la letteratura alpinistica sia maschile, e racconti la conquista della
vetta, mentre Nan Shepherd si inserisce a pieno titolo, raccontando non
le cime, ma un altopiano tra le cime. E per Macfarlane questo libro è
all’altezza del miglior Chatwin.
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